diverticolo

26 giugno 2006

Porcelli e porcelle

di Massimo Gramellini

Le intercettazioni telefoniche registrano lo smercio, ma fanno anche affiorare il deperimento delle modalità del vizio. Mediocre, sciatto e privo di fascino: tipico di una società in decadenza. I principi hanno sempre peccato più dei poveri. Però adesso lo fanno «come» i poveri. D'ora in poi Vittorio Emanuele potrà andare sull'Isola dei Famosi e un concorrente del Grande Fratello farsi incoronare principe ereditario. Nessuno noterà la differenza, dato che nulla più distingue le classi sociali, se non la ricchezza, e anche questo spiega perché tutti ormai puntino esclusivamente a quella.

DICA DICA

Ma siamo davvero tutti uguali e tutti egualmente squallidi? O come nella «Fattoria degli animali», alcuni porcelli sono più uguali degli altri? Esisterà ancora una possibilità di evoluzione e di grandezza, persino o almeno nel vizio? L'ultima Telefonovela getta nuova luce su alcuni archetipi di umani e di italiani. Il signor Savoia, per esempio, assurge a emblema del maschio medio e mitomane, anche al netto delle porcherie sulle «belle bambine da sc... urlando» e delle banalità da origliante di frasi fatte: «Sono cacciatore e ogni tanto mi piace sparare». Un re che parla come uno scaricatore di porto e pluricornifica la moglie di nascosto come un borghese piccolo piccolo, eppure nel profondo dell'anima, e anche più in basso, si sente l'imperatore delle galassie microgonnate, un monarca seicentesco che non deve sottostare ad alcuna legge e a cui tutto è dovuto ed è dovuto gratis: gli abiti, la scorta fino alla scaletta dell’aereo, le prostitute bionde per riempire i rari momenti d'ozio fra una partita a golf e un pisolino. «C'ho tre quarti d'ora e volevo andare a puttane», comunica garrulo al suo amico procacciatore. «Dica dica», risponde premuroso il Bonazza, un cognome che è già un indizio, e una missione. Neanche si accorge di fare il verso al «Dica duca» di Totò. Il Savoia che c'ha tre quarti d'ora si sente autorizzato ad accelerare, senza perdersi in sforzi per lui sovrumani, quale di sicuro sarebbe la coniugazione di un verbo: «Andare sempre, come si chiamava quella là?». «Alicia, Alice, Alicia, Alice». Si chiami come vuole, al principe sta a cuore un unico aspetto della vicenda. «Gli do duecento euro e non di più, eh». Una volta ne ha pagati 500 in anticipo, e per andare in bianco, poi: «A schiaffi bisogna prenderla, quella baldracca», fu il suo commento principesco. Per questo il Bonazza lo rassicura: «Duecento euro? No, no, anche niente… Gli faccia un salutino, un bacino e basta. Gli dica che arrangio io, dopo». Perché il Bonazza è uno che arrangia e che si arrangia, portando subito il conto: «Senta, principe, mi permetta… avrei bisogno che lei mi presentasse un generale della Finanza…». E l'altro, che quando non c'è da spendere che la propria onorabilità è più lesto di un furetto: «Chi vuole? Un carabiniere o una fiamma gialla?», domanda con regale noncuranza. come se fossero due uova al tegamino. «Fiamma gialla, fiamma gialla». «Ok, sarà fatto». E' tutto un frou frou di do ut des.

COME LA SMART

Il «prezioso Sottile», così lo adula al telefono la preziosa Paola Saluzzi, appare un modello di maschio precavernicolo più tradizionale ed è calato dentro uno scenario meno sorprendente: sottobosco politico e Rai. Di suo ci aggiunge l'entusiasmo famelico del parvenu di destra tenuto a stecchetto dal luglio 1943: «Caro Lorenzo, domattina chi ci trombiamo?» «Bè, ti portavo Stellina, questa…» «Mi portavi Stellina, gioia… Vuole entrare al centro sperimentale di cinematografia. E' piccola ma carina. Compatta. Come la Smart. Roba fresca». Rapito dalla promessa di simile visione, il prezioso Sottile volteggia sulle ali della poesia: «Ci facciamo fare un bel p… va. E se non ci sta, l'ammazzo di botte». Dopo la prova-qualità, ammetterà che la Smart era carina «dalla cintola in su», come si diceva una volta di certi attaccanti bravi solo nel gioco di testa. Quel che l'accomuna al modello «avanzi Savoia» è una sconfortante pigrizia. La sua è una passione senza passione, senza mai il brivido di un corteggiamento e l'esigenza di uno sforzo che esalti e nobiliti il peccato. Per sentirsi qualcuno, un portavoce come Sottile ha bisogno ogni tanto di farsi portare qualcosa anche lui: le ragazze, direttamente in ufficio. Da vero maschio stanziale, il suo divertimento maggiore non consiste nel fare sesso, ma nel vantarsene. «Maria Monsé? Io non solo ho approfondito, ma so dove va ad approfondire lei… Un bel tipo di porcella. Porcella doc». Il passaggio più tragicamente comico è quello in cui Sottile cerca di piazzare la moglie fra gli autori di un reality, ma l'interlocutore equivoca, pensando stia parlando di una delle solite ragazze. Fra i tanti che si sono indignati nel leggere le sue parole, non uno che ne abbia tratto l'ovvia conseguenza di chiedere la privatizzazione della Rai per sottrarla agli appetiti dei funzionari di partito e lasciarla a quelli dei proprietari, che se non altro sono meno numerosi. Resta poi da capire perchè un uomo tanto fine come Fini si sia scelto per portavoce una voce così, e per moglie una signora che quando vuole far sapere a un amico di essersi molto impegnata in un determinato affare, afferma: «Me so sbattuta er c...». Il minimo che si possa dedurre è che Fini non sia fine come sembra.

MORTE DI FAMA

Comunque si concluda l'incubo delle intercettazioni, Elisabetta Gregoraci ha già realizzato il sogno di ogni cenerentola moderna: si è fidanzata col principe buzzurro della Formula Uno e tutti i giornali la chiamano soubrette. Ma soubrette de che?, commenterebbe il prezioso Sottile con uno dei suoi preziosissimi amici Rai, per esempio il Sangiovanni, vicedirettore delle risorse Rai, e che risorse fossero risulta ormai abbastanza chiaro. Dicono: una volta la ragazza che andava con un potente chiedeva come pegno d'amore un anello, adesso la comparsata in tv. Non è del tutto vero, e comunque non è l'aspetto più interessante del problema. Le donne giovani e carine hanno sempre desiderato entrare nel mondo dello spettacolo e molte di loro erano disposte anche in passato a scendere a compromessi. La novità è che un tempo il sistema pretendeva da queste ragazze (e ragazzi) che sapessero ballare, cantare, presentare. Adesso gli si urla da tutte le trasmissioni che l'unica cosa che conta è abbronzarsi al sole di una telecamera. Non importa avere talento, basta esserci e farsi vedere. Questo drastico abbassamento dei requisiti di selezione ha avuto l'effetto di indurre molte più persone ad accarezzare il sogno: se fino a dieci anni fa una bella ragazza con gambe legnose e timbro vocale da Iervolino si sarebbe accontentata di fare la reginetta nella sagra di paese, adesso pensa legittimamente di poter diventare la Carrà. E lo pensa perché nella tv di oggi nessuno le chiede di cantare come Mina o slanciare la gamba come Heather Parisi. Basta sorridere ed essere «carine». In fondo, la stessa cosa che le chiedono quei maschi che la aspettano al varco per offrirle il lasciapassare verso la celebrità.


Fonte: www.lastampa.it
visto su: comeDonChisciotte.org

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