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27 ottobre 2006

Fumo negli occhi e specchietti per le allodole

L'illusione delle statistiche su HIV & AIDS

Le statistiche sulla diffusione mondiale dei cosiddetti HIV ed AIDS dovrebbero essere analizzate tenendone presente i limiti e le fonti.

del Professor Jens Jerndal, MD (MA), DSc hc, MSc, BA, FWAIM ©2002

Si presume che la statistica costituisca la solida base di appoggio su cui si l'onda la scienza moderna, una scienza che si occupa esclusivamente di quantità, misurazioni e numeri, e che viene utilizzata come prova incontrovertibile. Malauguratamente è abbastanza facile deter­minare involontariamente risultati erronei o distorti anche solo trascurando determinate com­plesse e specifiche regole di campionamento e valutazione dei dati. L'aspetto più affascinante della statistica, tuttavia, è che un abile esperto di tale disciplina è in grado di fare magie con i numeri e di creare deliberatamente l'illusione di dimostrare o sconfessare quasi qualsiasi cosa.
Le statistiche relative all'AIDS rappresentano la vetrina degli illusionisti all'opera. Esse sono palesemente confezionate su ordinazione, con l'utilizzo di svariati trucchi da illusionista per gon­fiare le cifre sino al punto da ispirare nella massa della popolazione terrore o panico sufficienti a consentire ai detentori del potere di introdurre, con l'imposizione, eccezionali misure di controllo della popolazione stessa, quali interventi sanitari "obbligatori" e limitazioni alla libertà di movi­mento e di condotta. Si tratta come di una sorta di coprifuoco per controllare una situazione di sovvertimento politico o di guerra.
Per il momento, trascuriamo le possibili ragioni di tale gioco di potere e limitiamo­ci ad esaminare il modo in cui le statistiche sull'AIDS vengono de facto intenzional­mente manipolate allo scopo di dare un'impressione gravemente distorta della realtà, con infondate allarmistiche previsioni per il futuro.
Quali sono i trucchi da illusionisti di cui sto parlando? Innanzitutto, viene adoperata una tec­nica cumulativa di rilevamento, che non viene utilizzata per altre malattie e che non ha alcuna giustificazione logica o utilità se non quella di dare l'impressione che le cifre sono assai più alte di quanto non siano in realtà, e che siano anche in crescita. Quindi, invece dei rapporti su quanti nuovi casi di AIDS sono stati registrati in un particolare anno, è probabile che vi ammanniscano la cifra totale determinatasi dall'inizio del rilevamento; una tale cifra ha un maggiore impatto e, con un po' di fortuna, forse vi indurrà a considerarla una cifra su base annuale.
Un'altra tecnica abbondantemente sfruttata nei rapporti sull'AIDS è quella di cambiare di tanto in tanto la base di riferimento delle cifre interessate, in particolare quando esse non si conformano alle previsioni; tale prassi è stata realizzata in vari modi, il più importante dei quali è probabilmente l'estensione delle definizioni di ciò che viene diagnosticato come AIDS. Per fare un esempio, sono state aggiunte delle nuove affezioni che caratterizzano il cosiddetto AIDS, quin­di attualmente almeno 29 diverse malattie — tutte già esistenti prima che l'AIDS facesse la sua comparsa sulla scena — vengono considerate come AIDS quando accompagnate da un cosid­detto test HIV positivo (in effetti si tratta solo di un test non-specifico sugli anticorpi, che può rea­gire a più di 60 diverse malattie che non hanno nulla a che fare con l' AIDS né con l'HTV).
Si comprende facilmente che quante più malattie vengono incluse, tanto maggiore sarà il numero di persone affette da una qualsiasi di esse; questo è uno dei modi in cui si può indicare che i casi di AIDS stanno aumentando, mentre i fatti nudi e crudi dimostrano il contrario. La realtà è che il numero di nuovi casi di AIDS negli Stati Uniti ha raggiunto il picco nel 1992 e, da allora, è calato costantemente; non è esattamente l'impressione che si desume dai media, dalle autorità statunitensi e dalle agenzie delle Nazioni Unite, no?
Altrettanto importante è rendersi consapevoli del fatto che in Africa per una diagnosi di AIDS non è richiesto alcun test dell'HIV. Qualsiasi malattia che si protragga per più di un mese e che manifesti determinati sintomi verrà immediatamente diagnosticata come AIDS. Tutte quelle malattie sono sempre esistite, erano comuni ben prima della comparsa dell'AIDS, e ciò costituisce uno dei molti motivi per il numero gonfiato dei casi di AIDS in Africa.
Tuttavia, anche utilizzando questa larga definizione, le cifre reali sono assai inferiori a quelle che vedete riportate sui quotidiani, e la ragione di ciò è che le cifre che vedete in continuazione non si basano su fatti concreti, bensì su "stime" generosamente creative, abbondantemente con­dite con fantasiose ma infondate "proiezioni" per il futuro. Naturalmente, laddove possibile, è preferibile usare "stime" che si possano gonfiare a piacimento, piuttosto che le meno affascinanti cifre dei dati esistenti. Inoltre, quando si vuole rendere noto il numero di "infetti da HIV", dato che non vi è modo di conoscerlo, la stima è l'unica opzione possibile; solo una piccola percen­tuale viene sottoposta al test sugli anticorpi, falsamente sbandierato come un "test sull'HIV", quindi valutare le cifre è una questione aperta a tutti; se venissero riportati solo i casi correttamente diagnosticati di "AIDS conclamato", le cifre non provocherebbero di certo una grande agitazione, e tantomeno panico.
In un recente rapporto, arrivato dagli Stati Uniti, si affermava che almeno un terzo di tutti gli individui HlV-positivi non sanno nemmeno di essere "infetti"! Se nemmeno loro stessi ne sono consapevoli né si sono mai sottoposti al test, in che modo il reporter, o qualsiasi fonte a cui abbia attinto, potrebbe sapere che queste persone sono HlV-positi-ve? Le statistiche sull'AIDS sono piene di questo genere di affermazio­ni assurde ed insensate, tuttavia nessuno sembra accorgersene, per non parlare di adottare contromisure.

Le statistiche sull'AIDS in Africa
Una delle poche fonti effettive delle statistiche sull'AIDS in Africa è il test sugli anticorpi (cosiddetto HIV) per le donne incinte, eseguito presso alcuni centri pubblici per la maternità. A quanto viene riferito i risultati dei test indicano che una percentuale assai elevata risulta "HlV-positiva". Per quale motivo? Perché esistono più di 60 condizioni mediche diverse che possono determinare esiti del test erroneamente positivi e, fra queste, vi è anche la gravidanza! Altre sono vacci­nazioni ed infezioni recenti quali epati­te, malaria, tubercolosi e influenza.
Tenendo presente che il test viene eseguito su donne incinte, quando la gravidanza è una delle cause riconosciute di un esito falso-positivo, e considerando che le donne che si rivolgono a questi centri, in gran parte povere e malnutrite, con tutta probabilità sono state soggette a molte delle altre affezioni, è del tutto prevedibile che molte di esse risulteran­no positive al test; questo comunque non significa che siano effettiva­mente HlV-positive e nemmeno che contrarranno l'AIDS.
Tuttavia questi esiti del test, chiaramente inesatti ed essenzialmen­te privi di significato, vengono tenuti nel conto ed applicati all'intera popolazione africana di entrambi i sessi, di tutte le età e condizione economica — come se fossero applicabili in modo uguale a tutti non­ché prova dell'incidenza dell'AIDS. Nessuna di queste ultime ipotesi è realistica e chiunque disponga di una pur rudimentale conoscenza dei test e delle statistiche deve esserne consapevole; ad ogni modo queste sono le modalità in base alle quali vengono elaborate e rese note le statistiche sull'AIDS in Africa.
Incidentalmente, a parte le oltre 60 comuni cause di un esito falsamen­te positivo al test, è stato dimostrato che per uno stesso individuo gli esiti del test possono variare di volta in volta, anche se eseguiti presso il medesi­mo laboratorio, e persino di più da un laboratorio all'altro e da una nazio­ne all'altra. La ragione è che per il test non esiste nessun "sistema aureo", ovvero che esso, a seconda dell'esatto punto della scala in cui viene regi­strato un esito positivo, è arbitrario. E questo tipo di test viene utilizzato per informare delle persone che esse moriranno di AIDS, che devono assumere farmaci oscenamente costosi che le renderanno disperatamente malate e le faranno perfino morire, ma che non le cureranno mai.
Questa è la motivazione di fondo per la quale il presidente sudafri­cano Mbeki è riluttante a fornire a spese del governo questi farmaci, non solo inefficaci ma mortalmente nocivi, alle donne incinte, ai neonati e, invero, a chiunque; e ne ha davvero tutte le ragioni.
A quanto viene riferito uno studio ha indicato che un gruppo di gio­vani maschi risultati positivi al test HIV presentò un tasso di mortalità più elevato rispetto a quello manifestato da un gruppo risultato non positivo — e chiunque ne venisse a conoscenza immaginerebbe auto­maticamente che tutti i giovani HlV-positivi siano morti a causa del-FAIDS. Lo studio, tuttavia, non indicava l'effettiva causa della morte dei componenti del gruppo HIV-positivo; quando si è indagato in merito è saltato fuori che in questo caso ci può essere stata una correlazione fra test HlV-positivi e un tasso di mortalità leggermente più elevato, ma che tale correlazione non si presentava per l'AIDS, ovvero che la mag­gior parte dei decessi non dipendeva dall'AIDS. Questo è un tipico esempio di fumo e specchietti della statistica!
Per di più, in Africa, il rilevamento dei casi di AIDS si basa su criteri, aree ed enti ampiamente diversificati. Inoltre il fatto che per l'AIDS sembra esservi un appoggio finanziario, cosa che non avviene per malattie più tradizionali, induce gli addetti a rilevare qualsiasi affezione come un caso di AIDS, quando magari si tratta semplicemente di tuber­colosi, malaria o qualche altra malattia endemica dell'Africa.
Curiosamente la tubercolosi e la malaria, entrambe assai comuni in quel continente, sono state incluse assieme a molte altre nelle cosiddette affezioni AIDS-caratterizzanti, tuttavia in base al test HIV ciascuna di queste può determinare un risultato falso-positivo. Arguto, vero? Vedete il fumo e gli specchietti?
Secondo le stime ufficiali dell'U-NAIDS della fine del 2000, in tutto il mondo qualcosa come 36,1 milioni di persone erano "affette" e "vivevano con l'HIV/AIDS"; si affermò che di queste, 25,3 milioni vivevano nell'Afri­ca sub-sahariana. Il mio quesito su tale cifra è: come fanno a saperlo?
Nel Terzo Mondo, l'AIDS può essere diagnosticato senza il cosiddetto test HIV ma per "l'infezione da HIV" le cose non stanno così — ed è un fatto che viene testato un numero assai esiguo di persone, e coloro che sono stati riscontrati positivi costituiscono un'infinitesima porzione dei 36,1 milioni che l'UNAIDS dichiara stiano "vivendo con l'HIV". Quindi come fa L'UNAIDS a determinare la parte rimanente?
Tipicamente non viene fatta alcuna distinzione fra l'essere soltanto positivi al test HIV ma sani e l'essere effettivamente malati di AIDS "conclamato" — come se fosse la stessa cosa! Questa è un'altra delle molte cortine fumogene. La medesima fonte stimava(!) che nel 2000 il numero di nuove infezioni fosse di 5,3 milioni a livello globale; il nume­ro stimato(!) di decessi complessivi causati da AIDS (osservate il rileva­mento cumulativo) si dice che si aggiri intorno ai 21,8 milioni.
Dato che sappiamo che, a causa degli elevati costi, in Africa vengono eseguiti pochi test HIV, non possiamo fare a meno di chiederci su che base tali stime vengono eseguite, e con buoni motivi, dal momento che sappiamo che il numero dei decessi ufficialmente registrati come AIDS ammonta a solo una piccola frazione delle stime divulgate dall'U-NAIDS a partire dall'inizio della "epidemia", circa 20 anni or sono; e questo nonostante tutte le summenzionate ragioni per gonfiare le stati­stiche sull'AIDS in Africa.
Uno degli argomenti addotti da coloro che gonfiano le statistiche per spiegare tale discrepanza è che la maggior parte dei decessi da AIDS vengono riportati come qualcosa di diverso, o perché le persone non vogliono ammettere che i loro congiunti sono morti a causa di una malattia così ignominiosa oppure perché non sapevano nemmeno che si trattasse di AIDS! Però quelli che eseguono le stime evidentemente lo sanno — in assenza di qualsiasi test HIV. Viene da chiedersi come. In base a pure sensazioni?
Qui c'è qualcosa che non torna.

Anatomia di una "pandemia"
Che altro si può fare, quindi, per suscitare l'impressione che l'AIDS sia una pandemia in rapida diffusione, che minaccia di spazzare via l'in­tera popolazione mondiale a meno di prevenirla e vanificarla costrin­gendo le persone a ingollare costose sostanze chemioterapiche ingan­nevolmente chiamate "antivirali"?
Si può ad esempio prendere in considerazione il gruppo di età che, fra tutti, presenta i minori tassi di mortalità — diciamo giovani di età compresa fra i 20 ed i 30 anni — e riscontrare che per tale gruppo l'AIDS (o più probabilmente gli "antivirali" prescritti per combatterlo!) costituisce "la principale causa di morte"; bisogna assicurarsi di non rivelare l'effettiva percentuale, dato che è talmente esigua che potrebbe annullare l'effetto desiderato. Tuttavia, poiché ben pochi individui del gruppo in questione muoiono per cause naturali, allora per essi si può formulare l'AIDS come "principale causa" di mortalità — o, quanto-meno,"una fra le cause principali", assieme al suicidio e agli incidenti.
Rendendo noti tali dati con adeguato clamore, il pubblico trarrà facil­mente l'errata conclusione che l'AIDS rappresenta una delle principali cause di mortalità, o che almeno un'elevata percentuale di quel gruppo di età muore di AIDS... quando il reale tasso di mortalità per AIDS, anche per il gruppo in questione, può essere limi­tato sino ad una frazione dell'uno per cento. Ora lo vedete e ora non più! Questo è uno dei modi in cui gli illusio­nisti eseguono le loro magie statistiche evitando di mentire realmente.
Si può infine giocare l'efficace carta "dell'orfano", di nuovo stimando(!) anche tutti i milioni di bambini resi orfani dall'AIDS, ovviamente senza menzionare il fatto che la definizione di "orfano" si applica a qualsiasi bam­bino che abbia perso in qualsivoglia modo uno(!) o entrambi i genitori. Non esiste poi alcuna documentazione affidabile che attesti quanti di questi genitori scomparsi siano morti di AIDS, e nemmeno che siano effettivamente morti. In Africa la motiva­zione di gran lunga più comune a monte della scomparsa di genitori risiede nelle guerre che da decenni infuriano nel continente.
Un recente caso dall'India esemplifica quanto sta accadendo. Le stati­stiche ufficiali presentate alle Nazioni Unite dichiaravano che in India vi sono 560.000 orfani a causa dell'AIDS—con solo 17.000 decessi ascrivibi­li alla stessa causa! Nel corso di una conferenza stampa, un giornalista domandò al Dr. David Miller, rappresentante nazionale dell'UNAIDS, da dove avessero desunto quelle cifre sugli orfani da AIDS; non ebbe alcuna risposta. E ministro indiano della Sanità rinviò la questione all'incaricato che gestisce per il governo la raccolta dei dati relativi all'AIDS/HIV, il quale disse che in India non esistevano stime sugli orfani da AIDS. Quan­do al Dr. Miller fu chiesto quali fossero le sue fonti, egli rispose: "Non posso rivelarle. Dovrò parlarne con i miei colleghi di Ginevra".
Un altro aspetto che non ha mai smesso di affascinarmi è come enti pubblici che si presume siano responsabili e professionali, come l'Organiz­zazione Mondiale della Sanità, riescano a sapere, ad esempio, che l'inci­denza dell'HIV (spesso interpretato come uguale all'AIDS) nelle adole­scenti africane è aumentata del 26% (o qualsiasi altra percentuale riporta­ta) da un anno all'altro. Su che fonti fanno affidamento per questo genere di valutazioni? Si tratta di una scuola in cui hanno esaminato alcune ragaz­ze lo scorso anno ed alcune altre quest'anno — magali subito dopo che erano state vaccinate o avevano avuto un attacco d'influenza? O si sono limitati alle adolescenti incinte? Quante ragazze sono state esaminate? E come? Quando? Dove? Possiamo, di grazia, esaminare le analisi?
I più non comprendono che spesso, quando si danno percentuali per una nazione o per un gruppo di individui, in effetti è stato esaminato soltanto un numero esiguo di persone; la percentuale riscontrata in quel
piccolo campione viene quindi accettata come se fosse applicata all'in­tera nazione o all'intero gruppo, senza tener conto dell'eventualità che le persone esaminate non siano rappresentative della nazione o del gruppo nel loro complesso. Un accorto esperto di statistica che voglia barare, di norma è in grado di eseguire il campionamento in modo da favorire un determinato esito senza per questo dover manipolare le cifre in quanto tali.
Per concludere la presente denuncia degli illusionisti delle statistiche, fornirò ora un drammatico esempio di cosa si può nascondere dietro l'affidabilità, espressa statisticamente, del test per l'HIV.
Si dice che il test per l'HIV sia accurato al 98%. Per amore della discussione, ipotizziamo che si tratti di un assunto corretto. Nella nostra cultura, ipnotizzati come siamo da numeri e quantità, percentuali e maggioranze, tutto questo suona assai rassicurante per la maggioranza delle persone; ma nella vita reale del singolo individuo, cosa può signifi­care tale verità statistica? Vediamo.
In un campione di popolazione statunitense media, la stima di diffu­sione dell'HIV rientra nell'ordine dello 0,04%, ovvero 4 persone ogni 10.000. Ipotizzando di sottoporre ad esami 100.000 cittadini statunitensi,
allora dovremmo aspettarci di rilevare fra di essi 40 individui sieropositivi, il che significa che i restanti 99.960 indivi­dui sono sieronegativi. Ad ogni modo, dato che il test è accurato solo al 98%, esso potrebbe erroneamente riscontra­re la sieropositività nel 2% dei suddetti 99.960, vale dire in 1.999 persone!
Quindi, in questo esempio, di 2.039 individui risultati positivi al test, solo 40 lo sono realmente, e ciò significa che il 98% di coloro risultati "HIV-positivi" al test non lo sono affatto. In altri ter­mini il test, dichiarato preciso al 98% e di conseguenza legalmente commer­cializzato, per coloro che sono risultati positivi è, di fatto, impreciso al 98%.
Provate ad immaginare il destino di quei 1.999 individui, informati che a breve contrarranno l'AIDS, e poi minacciati, intimiditi o convinti dall'e­stablishment medico ad assumere l'AZT, e analoghi farmaci anche letali, allo scopo di "ritardare l'insorgenza dell'AIDS". Tralasciando gli enormi costi di questa cura (e i profitti del settore farmaceutico), secondo voi quan­ti di loro sopravviveranno a tale prova? Non molti, ve lo posso garantire.
Questo è il diabolico scenario allestito dalle autorità statunitensi. I cittadini vengono complessivamente indotti con la paura a fare il test, e tutti quelli che risultano positivi vengono indotti a curarsi con AZT o altri farmaci analogamente tossici. (Se credete ancora alla propaganda mediatica che sostiene che l'AZT è un "farmaco salvavita", andate a cercarvi alcuni fatti facilmente verificabili sul sito web di Rethinking AIDS e, se vi interessano i retroscena di una causa legale in corso, fate una ricerca su "Anthony Brink".)
Abbiamo appena ipotizzato che il test sia realmente preciso al 98%. Sembra che nessuno si sia premurato di chiedere come sia possibile determinare tale percentuale, dal momento che non esistono verifiche affidabili; così come per il resto del dogma imperante sull'AIDS e della maggior parte della "scienza dell'HIV", si tratta semplicemente di una questione di fede.
In effetti, sulla base di quanto rilevato nel presente articolo, sappia­mo che il margine di errore può essere assai più ampio; sappiamo anche che, dato che un test sugli anticorpi non-specifico per un ipotetico HIV non ha di per sé stesso valore predittivo sullo sviluppo dell'AIDS, risul­tare positivi ad esso è del tutto irrilevante.
Allora tutto questo non è altro che fumo e specchietti per adescare persone fiduciose "a rischio" in una palude di lucrosi test e cure che, come pubblicamente riconosciuto, non portano che all'annullamento e alla morte?

Un'agenda occulta
Un'interpretazione ancor più sinistra è che il panico ed il terrore delibe­ratamente generati da un'ingannevole campagna pubblicitaria siano desti­nati a spianare la strada ad uno stato di emergenza globale, che giustificherà estese limitazioni dei diritti e delle libertà civili, e persino interventi militari.
Sicuramente sinistra è stata la nota, emessa nel 2000 dalla presidenza Clinton, nella quale si dichiarava che l' AIDS rappresentava una questio­ne di sicurezza nazionale; badate, non l'AIDS negli USA, ma l'AIDS nel mondo, in particolare in Africa. Dietro le quinte di tutto questo possiamo forse individuare un'agenda politica occulta, e magari anche un complot­to dei potenti per ottenere il controllo globale? Se le cose stanno così, dove dobbiamo cercarne l'ideatore? Alla Casa Bianca, indipendente­mente dal partito di appartenenza del presidente? Alla CIA? Al Penta­gono? Nell'industria delle multinazionali farmaceutiche e petrolchimi­che? Forse tutte e quattro, legate da un segreto patto di alleanza? In tal caso, lo scopo sarebbe solo quello di determinare astronomici guadagni e potere finanziario a vantaggio dei registi di questa tragedia, oppure quel­lo di assumere l'effettivo controllo del mondo intero?
Può darsi che non si sia trattato dell'avvio, pianificato a freddo, di uno scenario politico coerente, tuttavia in fin dei conti forse dovremmo richiamare alla memoria come tutta la vicenda è iniziata. In un anno di elezioni, fu l'amministrazione Reagan a dichiarare — senza revisione dei pari, dibattito o consenso scientifico, né riscontri scientifici — che un nuovo retrovirus era "la probabile causa dell'AIDS", promettendo un vaccino per esso nel giro di un paio d'anni; era il 1984 — l'anno che diede il titolo al famoso visionario libro di Orwell, pubblicato 50 anni prima, che parlava di un futuro governo del Grande Fratello.
Da quella dichiarazione dell'aprile del 1984, il governo federale sta­tunitense assunse imperiosamente il controllo totale della "epidemia" di AIDS, mentre le relative autorità sanitarie decidevano quali ricerche finanziare, quali cure (cioè farmaci) approvare, cosa pubblicare sulle riviste specializzate e cosa raccontare al pubblico tramite i media. Da allora il resto del mondo istituzionale, fatte salve poche eccezioni, non fa altro che danzare belando, come in trance, la danza di morte al suono della zampogna dell'AIDS dello Zio Sam.
Poiché negli Stati Uniti la sola minaccia dell'AIDS non ha evidente­mente prodotto il desiderato effetto a lungo termine, dovette essere coa­diuvata dalla minaccia terroristica e dal terrore dell'antrace; ora si sta otte­nendo l'effetto desiderato. L'impaurita popolazione è stata con sollecitu­dine arrendevolmente privata di elementari diritti civili, mentre ai gover­natori ed a vari enti politici sono stati conferiti incontrollati poteri dittato­riali, il tutto in nome della sicurezza e dell'ordine, per "proteggere la gente". Si da' il caso che tali misure erano state predisposte ben prima degli attacchi dell'11 settembre 2001 contro il Pentagono e le Twin Towers... così come lo era stato l'intervento militare in Afganistan.
Su questo sfondo, forse troverete più facile credere che la presenza di un nuovo retrovirus, denominato erroneamente "HIV", in individui che "risultano positivi", è stata dedotta soltanto da determinati "marcatori" non-specifici. Alcuni ricercatori dalle eccellenti credenziali sostengono che questi ultimi non costituiscono una prova dell'infezione da HIV, ed affermano che il famigerato HIV potrebbe non esistere affatto! A tutt'og-gj l'HIV non è mai stato isolato da un malato; che lo crediate o meno, questi sono i fatti, e chiunque voglia prendersene la briga può verificarli.
Vedendo il modo in cui al mondo è stato spacciato il falso dogma secondo cui "l'HIV provoca l'AIDS", ed in particolare il letale regi­me farmacologico che lo accompagna, non posso fare a meno di pen­sare alla schiacciante ed efficiente macchina propagandistica della Germania nazista ed al suo utilizzo della psicosi di massa, brillante­mente escogitata da un certo Mr. Goebbels; la storia si ripete, solo che lo fa in circostanze nuove e con etichette inedite.
Avete notato, a proposito, che le categorie ufficialmente dichiarate "a rischio" furono inizialmente gli individui bianchi "socialmente indesi­derabili", ovvero omosessuali maschi, tossicodipendenti, prostitute ed emofiliaci, e in seguito i neri statunitensi di bassa condizione sociale ed ora principalmente i neri africani "sub-sahariani"?
Ed avete notato che negli Stati Uniti il primo — e, per lungo tempo, unico — farmaco autorizzato per i malati di AIDS è stato il vecchio — di 20 anni—AZT per il cancro, considerato troppo tossico e pericoloso per l'assunzione da parte di esseri umani e quindi, sino ad allora, mai approvato dalla FDA? Per i gruppi a rischio di AIDS, comunque, fu approvato in base ad una procedura accelerata preferenziale, dimostra­tasi un'autentica frode.
Ad un numero, in rapida crescita, di acuti osservatori professionali, sta diventando sempre più evidente che l'AIDS non viene trasmesso da alcun virus, né per via sessuale, e che non è nemmeno contagioso. Si tratta, invece, di una sindrome determinata da diversi fattori, la cui causa principale risiede in farmaci e sostanze chimiche velenose — fra cui insetticidi, pesticidi, alcuni lubrificanti anali a base di benzene utilizzati da certi omosessuali, droghe, infezioni multiple parassitarie, virali e bat-teriche, malnutrizione e, ultimi ma non meno importanti, molti tipi di farmaci su prescrizione, in modo particolare la chemioterapia estrema­mente tossica abitualmente prescritta per AIDS e "infezione da HIV".
Efficaci cure non tossiche per l'AIDS non mancano, ed è possibile curare la malattia; dobbiamo solo riconoscerne le reali cause e smettere di avvelenare a morte le persone.
Come possiamo affrontare tale situazione? Elevando il nostro livel­lo di consapevolezza e mettendo in discussione tutte le informazioniforniteci dai media e dagli enti governativi, particolarmente se questeprovengono da ambienti con interessi costituiti di profitto o di potere.Non lasciando che ci usino, intimidiscano o sacrifichino sull'altare di unascienza corrotta, di giochi di potere politico e degli spietati profitti del­l'industria farmaceutica. E soprattutto, facendo appello al buon senso epensando in modo autonomo!

Riferimenti
• Al-Bayati, Dr Mohammed Ali, Get All the Facts: HIVDoes Not CauseAIDS, Toxi-Health International, Dixon, Califomia, 1999.
• Clark, Hulda Regehr, PhD, ND, The Cure For HIV and AIDS e TheCure for All Cancers, ProMotion Publishing, San Diego, California,1993.
• Douglass, William Campbell, MD, Into the Light, Second OpinionPublishing Inc., Dunwoody, Georgia.
• Duesberg, Prof. Peter H., "AIDS Acquired by Drug Consumption andother Non-Contagious Risk Factors", University of California, Berkeley.
• Ellison, Bryan J. e Peter H. Duesberg, Why We Will Never Win theWaronAIDS, Inside Story Communications, El Cerrito, California.
• Selvey, Jeremy E, The Secreti Behind HIV & AIDS, People's Internatio­nal Health Project, Los Angeles, California.
• Willner, Dr Robert E., MD, PhD, Deadly Deception: The Proof thatSex and HIV Absolutely Do Not Cause AIDS, Peltec Publishing Co.,Boca Raton, Florida.
• Potete trovare una bibliografia più ricca, nonché più di 750 pagine fradibattiti scientifici, risultati di ricerca e approfondite trattazioni sulla sin­drome dell'AIDS, a cura di scienziati di primo piano, presso il sito webdi Rethinking AIDS http://www.virusmvth.com.
A proposito dell'Autore:
II Professor Jens Jerndal, MD (MA), DSc hc, MSc, BA, FWAIM, è nato in Svezia, ha studiato in quel paese ed in Inghilterra e risiede in Spagna. Ha seguito distinte carriere come diplomatico, linguista, scrittore, confe­renziere, amministratore finanziario e praticante di medicina olistica. Ha ricevuto vari riconoscimenti ed onorificenze fra cui, nel 1990, il Premio Albert Schweitzer per la Medicina. Il Professor Jerndal tiene conferenze, seminari e corsi a livello internazionale sulle modalità per adeguarsi e trarre vantaggio dall'emergente paradigma olistico, ed è un fervente atti­vista a difesa dell'ambiente e della spiritualità.
Il Professor Jerndal può essere contattato per via epistolare presso: Apartado 591 Arrecife, Lanzarote, ES35500, Spagna; via fax al +1 (815) 461 8462 (USA), via email presso paradocs@inter-com.es, e tramite il suo sito web: http://www.life-expansion.com.

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